L'arte della gioia by Goliarda Sapienza

L'arte della gioia by Goliarda Sapienza

autore:Goliarda Sapienza
La lingua: ita
Format: azw3, epub
Tags: Narrativa italiana, Letteratura
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Parte terza

58.

Chiunque abbia avuto l’avventura di doppiare il capo dei trent’anni, sa quanto sia stato faticoso, aspro ed eccitante scalare il monte che dalle pendici dell’infanzia sale sino alla cima della giovinezza, e quanto rapido, una cascata d’acqua, un volo geometrico d’ali nella luce, pochi attimi e... ieri avevo le guance integre dei vent’anni, oggi – in una notte? – le tre dita del tempo mi hanno sfiorato, preavviso del breve spazio che resta e del traguardo ultimo che inesorabile attende... Primo, menzognero terrore dei trent’anni.

Che avevo fatto? Avevo sprecato le mie ore? Non goduto abbastanza del sole e del mare? Solo in seguito, all’epoca d’oro dei cinquant’anni, epoca forte calunniata dai poeti e dall’anagrafe, solo in seguito sai quanta ricchezza c’è nelle oasi serene dell’essere con se stessi, soli. Ma questo viene dopo.

Allora, l’ansia di perdere lo ieri e il domani mi prese forte: che facevo in quello studio? Che significato aveva quella ricerca di parole e tutti quegli scritti, poesie, novelle, appunti? Stavo, senza saperlo, per cadere nella condanna mistica di diventare un poeta, un’artista? Stavo, senza saperlo, ripercorrendo la strada di Beatrice che per consistere agli occhi di se stessa e degli altri, s’era modellata in una statua sacra di vedova inconsolabile, bellissima e rispettata? Stavo con la sua stessa spietatezza e volontà inconsapevolmente alzando un tempio dentro di me, e come lei sarei morta pur di seguire il veleno sottile della tradizione?

Chiusa nella prigione del lutto come detta la tradizione, pian piano e con una dolcezza raccapricciante Beatrice s’ammalò, come il suo sposo, «di petto», e in pochi mesi quella bambola di cera caricata a molla che da tanti anni girava fra fiori e libri si fermò: la carica spezzata. Che facevo fra quelle penne e matite allineate sulla scrivania? O era un altare? Avevo cominciato per gioco... Ma fissando in me stessa vidi il mio futuro: presa in quel tranello, le gambe spezzate dalla trappola «d’essere qualcuno».

Sfuggito il convento, la religiosità buttata dalla finestra rispuntava da qualche buco della mia stanza cavalcando il topo dell’estetica. Lo vidi il topo mistico. Gli occhi rugginosi dell’insaziabilità scrutavano dagli angoli in ombra, voraci. Spiavano la mia carne giovane, il mio petto, per trovare una fessura e entrare in me e rodere l’ossatura del mio scheletro saldata dalla gioia.

Arrestandolo, seppi che giustamente avevo diffidato, e che ancora pochi attimi di inconsapevolezza mi avrebbero fatto cadere fuori dalla realtà in preda a quella droga «artista», droga piú potente della morfina e della religione. Capí e distolse lo sguardo dal mio per fuggire.

Nello sforzo di leggere nel mio futuro la cicatrice pulsava e allo specchio la vidi serpeggiare rossa per pochi attimi. Messaggio del mio profondo di secoli, m’avvertiva di stare in guardia da me stessa e correre al sole. Non avrei piú ripreso quella ricerca di poesia finché non avessi avuto la prova da me stessa che era un gioco e solo un gioco come cogliere fiori o cavalcare Morella...

Vicino alla vecchia Morella, Bambolina aspettava paziente. La frangia nera leggera come un’ombra cadeva sullo sguardo azzurro appena piú intenso della pupilla di Beatrice.



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